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RACCONTAMI DEI FIORI DI GELSO – Aline Ohanesian

L’amica ‘povna, ne sono certo, citerebbe lo”sceneggiatore” ed effettivamente in più di un momento, durante questa estate anch’io non ho potuto fare a meno di pensarci…

E’ accaduto nelle prime ore della nostra vacanza a Chiavari, io e Patitù soltanto, in attesa che la sera ci raggiungesse anche la Leonessa, complici nubi e stanchezza accumulata, invece che andare in spiaggia, passeggiamo diretti verso la nostra libreria preferita (in realtà voglio vedere se hanno questo, caldamente suggerito come lettura a Patitù dalla coordinatrice didattica della sua scuola elementare, nonché ormai nostra cara amica!)

Prima di entrare ci soffermiamo un attimo davanti alla vetrina perché io sto parlando con mia sorella per dirle che siamo arrivati, tutto bene, poi mentre entriamo Patitù mi dice che vuole regalarmi un libro che ha visto in vetrina perché le è piaciuta la copertina, così usciamo nuovamente un attimo per vedere di  quale libro stia parlando.

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Mentre rientriamo le dico che almeno voglio leggere di cosa parla il libro, anche perché non costa pochissimo; leggo rapidamente il risvolto di copertina e decido subito che, sì, accetto la sfida, lo acquistiamo e comincio subito a leggerlo.

E così, nell’estate in cui visito Dachau, in un periodo storico così segnato dalla sfida dell’estremismo islamico al mondo (e non dei musulmani al mondo, come qualcuno tenta quasi quotidianamente di farci credere…), per un’intuizione di una bambina (forse guidata dallo sceneggiatore?) mi ritrovo a leggere un intenso libro sulla storia degli armeni, sulla loro deportazione all’inizio della prima guerra mondiale e sul genocidio perpetrato nei loro confronti dai turchi.

Un libro da leggere, per sapere, per ricordare, per non smettere mai di combattere per i diritti, la libertà e la vita dei più deboli.

Ma anche un libro da leggere perché la storia d’amore tra Lucine e Kemal, ripercorsa lungo tutto il ‘900, è scritta davvero bene, avvince e commuove e non cade mai nel banale o nel melodrammatico, contribuendo in maniera determinante all’ottima riuscita di questo romanzo scoperto per caso ma amato tantissimo.

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#ioleggoperché

Ho ricevuto questa mail e la condivido: si ricomincia!!!

 

Ciao Amici di #ioleggoperché,

con immenso piacere vi annunciamo finalmente… che si ricomincia!

E, per ricominciare, facciamo subito una staffetta di riscaldamento sui social, perché quest’anno sarà davvero tutta un’altra storia! E avremo ancora più bisogno del vostro aiuto.Il 23 aprile è la nostra festa, il nostro compleanno e per noi sarà solo l’inizio! Dobbiamo e vogliamo festeggiarlo insieme, partendo per una corsa che ci porterà al 5 maggio 2016, giorno in cui sveleremo tutti i segreti della nuova edizione di #ioleggoperché.

Iniziate subito a condividere su Facebook, Twitter o Instagram il libro che più avete amato durante i vostri anni scolastici e durante l’adolescenza, utilizzando l’hashtag #LibriCheTiCambiano. Raccontateci quale, tanto o poco tempo fa, vi è entrato nel cuore senza più uscirne, con #unLibroPerSempre.

Perché questi libri sono così importanti per voi? Se li avete ancora in casa, mandateci una foto della copertina.

Da sabato 23 aprile, Giornata Mondiale del Libro, prenderà il via la nostra staffetta social, per la quale vi chiediamo di raccontare con #IoCeroPerché cosa vi ha spinto a partecipare all’ultima edizione e di condividere il motivo per cui lo scorso anno siete stati #ProntiAtutto per questo progetto.

Tutto questo per prepararci al grande appuntamento di giovedì 5 maggio, giorno della partenza ufficiale di #ioleggoperché 2016: una sfida che ci accompagnerà fino al prossimo ottobre!

Bentornati.

Si riparte.

#ioleggoperché

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#ioleggoperché – epilogo

Siamo arrivati all’epilogo, #ioleggoperché, la splendida avventura – gioco virale lanciata dalla ‘povna chiude i battenti dopo aver vissuto giovedì scorso, 23 aprile, il suo momento più alto, nonostante gli ascolti di Raitre (più che suscitare polemiche sullo share della serata, bisognerebbe riflettere sul rapporto degli italiani con la lettura e i libri e decidere di farne molte di più di trasmissioni così).

Decido di concludere così con una citazione un po’ particolare (spero non appaia un po’ blasfema), che mi è venuta alla mente proprio giovedì scorso pensando ai 12 libri da consegnare…

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#ioleggoperché – a scuola

La scuola di Patitù è una piccola scuola paritaria gestita da suore composta da una sola sezione (in pratica cinque classi); da tre anni la gestione e il coordinamento didattico è affidato a una delle maestre prevalenti che, in sostanza, fa da direttrice della scuola.

Si tratta di una di quelle splendide persone che capita di incontrare ogni tanto nella vita, che vive (a proposito di preposizioni) a scuola, di scuola e per la scuola.

Con lei io e la Leonessa abbiamo costruito un rapporto negli anni sempre più bello e importante di collaborazione, scambio, crescita reciproca, nel rispetto dei propri ruoli e delle proprie idee e capacità, senza mai dimenticare che lei è la maestra, la direttrice, la guida dei bambini nelle ore di scuola (e spessissimo anche molto oltre, perché la maestra non la si fa solo nelle ore di insegnamento, ma nelle tantissime altre ore di studio, preparazione e approfondimento, questo detto per inciso per tutti coloro – ancora troppi – che credono che fare l’insegnante sia semplice e si riduca alle poche ore a scuola)e noi siamo prima di tutto i genitori e, vista la bella opportunità che ci è stata data, dei collaboratori che offrono un po’ del loro tempo per fare qualcosa che serva innanzitutto ai bambini e in secondo luogo alla scuola.

Così io da due anni guido nelle pause pranzo un laboratorio teatrale mentre la Leonessa crea un percorso cinematografico a tema attraverso la visione di tre film durante l’anno per le classi prima e seconda e tre film per le classi terza, quarta e quinta.

Così i bambini sono felicissimi di partecipare, a noi (che offriamo il tutto gratuitamente e ci mancherebbe altro!) torna indietro il poco che doniamo moltiplicato per cento (perché la gioia e un semplice sorriso di un bambino non hanno prezzo) e scuola e genitori crescono insieme.

Così anche in occasione di #ioleggoperché non ho potuto fare a meno di pensare immediatamente a questa persona chiedendole se si poteva pensare a qualcosa da proporre il giorno 23 aprile nelle classi ai bambini e così è stato: lei nella sua classe ha proposto ai bambini di scrivere liberamente i loro #ioleggoperché, la maestra di Patitù, nella sua classe il giorno dopo ha fatto svolgere un tema dal titolo “A volte il libro diventa il mio migliore amico”

Oggi, invece del solito post it ho deciso di scrivere il tema di Patitù (così come l’ha scritto in minuta, prima di ogni correzione):

Tema: “A volte il libro diventa il mio migliore amico”

Mi piace leggere; il mio genere di libro è: avventura, mistero, amore (ma non troppo) e fantasia. Quando leggo mi sembra di entrare dentro il libro di seguire la scena da vicino ma senza farmi vedere. Come se uno dei personaggi fossi io, come se li conoscessi di gia. Adesso io sto leggendo un libro intitolato: “Nefertiti la regina che divenne faraone”. E’ una storia di amore e di avventura e mi piace: Io ho due collane preferite che sono: i grandi classici, e storie di cavalli scritti da una cavallerizza di nome Pippa Funnell. Il bello dei libri per me è che ti puoi costruire la scena come vuoi tu. Io ho letto gia tanti libri alcuni sono: Storie di cavalli, di impossibile non c’è niente, il giro del mondo in ottanta giorni, La bambina della sesta luna… ma il mio preferito è: Il giardino segreto.

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#ioleggoperché – 25 aprile

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#ioleggoperché – 25 aprile – libertà

Nella settimana di #ioleggoperché parlare di libertà non può che far pensare innanzitutto ai tanti, troppi posti in cui il diritto allo studio è negato, è difficile, è parziale; non può che far pensare alle ragazze rapite in Nigeria da Boko Haram solo perché studiavano e delle quali non si sa più nulla; alle continue stragi di cristiani che ormai quotidianamente si stanno verificando in tutto il mondo; alla strage di Charlie Hebdo… e la lista potrebbe continuare ancora a lungo.

Perché leggere, studiare, imparare vuole dire libertà e chi questa libertà la vuole negare, sopraffare, annullare non può che avere una sola speranza di farcela, di vincere: lasciare quanta più popolazione possibile nell’ignoranza.

La citazione di oggi è troppo lunga per farla entrare in un post it di 400 caratteri per cui la riporto integralmente qui sotto, ricordando che quando la lessi provai continuamente brividi che mi percorrevano l’intero corpo.

Venuto al mondo – Margaret Mazzantini

Il ragazzo ha gli occhi azzurri e sorride, dice è come sparare ai conigli, lo stesso. E io vedo il bambino blu. Gioca con lo slittino, lo trascina in salita tirandolo per la corda, è una bella fatica ogni volta, perchè scendere è un soffio, salire invece…..Però ne vale la pena. E’ una bella giornata di luce, c’è la neve fresca. Il bianco che ha coperto il nero. Il cecchino ha bevuto grappa di prugne, ha fumato, ha buttato in terra la cicca che non si è ancora spenta. Poi ha ripreso la sua vanga, il suo fucile. Sua madre un giorno lo ha messo al mondo, lo ha battezzato, il cecchino ha una croce al collo, crede nella divina trinità, quella della grande Serbia. Almeno così gli sembra di ricordare, perchè sono passati pochi mesi ma tutto è cambiato e lui non ricorda bene perchè è salito lassù in montagna con gli altri. Spara sulla sua città, sul suo quartiere. Alza il fucile, infila il suo occhio fermo e cerca….e gli piace cercare, gli dà una scossa che dal petto gli scende nella pancia, poi nei testicoli. Sceglie quella discesa, quel sentiero coperto di neve dove anche lui giocava da bambino. Ha nostalgia di quei giorni, della sua infanzia, come tutti gli uomini. Non è dispiaciuto, quando ha camminato nel fango per superare quel fiume marciando verso i monti sapeva che non sarebbe tornato. Ci sono altri bambini sulla discesa tra due stabili sventrati, l’edificio sulla sinistra era la scuola elementare che anche lui ha frequentato. Per un attimo gli torna in mente la maestra che spalmava la pasteta sul pane e gliene dava una fetta. E lui sorrideva, le diceva hvala. Gli piaceva quella maestra, non ricorda se era serba o mussulmana, ci pensa ma non se lo ricorda. La scuola adesso è uno scheletro, come la struttura di una palazzina mai finita a cui qualcuno ha dato fuoco. I bambini giocano, lui li ha visti arrivare, non li aspettava. Non sa mai cosa gli capiterà, dove si fermerà la sua attenzione, su quale bersaglio, su quale cilj. E’ una parola che gli piace cilj, perchè è il suo lavoro di tutti i giorni, perchè è una parola pulita. Uomo, donna, bambino, gli sembrano parole che sporcano la sua missione. I bambini sono bersagli piccoli, maleni ciljevi, e lui in genere non spara sui bersagli piccoli, si muovono troppo. Ma stamattina è molto facile, è un invito. I maleni ciljevi sembrano conigli sparsi sulla neve. Le loro madri li hanno lasciati uscire, non potevano tenere i bambini tutto il giorno all’umido dei rifugi, e magari volevano essere libere, fare il bucato, preparae una zuppa d’erba. Il cecchino cerca. I bambini sono ancora macchie sulla neve, piccole figure dai contorni imprecisi. Gira la manopola che regola il canocchiale del suo fucile di precisione. C’è pasta di neve, di pezzi di golf, di pezzi di volti. E’ troppo sopra, l’immagine è sgranata. Cerca il fuoco giusto, si avvicina, stringe…tira fuori dall’ignoto, dalla neve. I maleni ciljevi adesso sono bambini. Lui cammina un po’ con il suo canocchiale, fa qualche passo con loro, segue il gioco che fanno. Lo faceva anche lui, quel gioco, scivolava giù dentro una cassetta di plastica insieme a suo fratello. Una volta cadde contro una grossat pietra che spuntava dalla neve. Si chiede se c’è ancora, la cerca, la trova. Gli piace trovare segni della sua vita passata, anche se sa che non tornerà più. 9 Non prova nessuna emozione, è come riconoscere un territorio, per un cacciatore è importante. Si ferma su un bambino. Non sa perchè sceglie lui piuttosto che un altro. Forse perchè non ha il cappello, ha la fronte scoperta, e quando si volta gli vede il buco della nuca. Dovrei dirlo questo a Pietro? Lui nasceva e io pensavo alla nuca del bambino blu, la vedevo, era davanti a me, nel mirino di uno sniper. L’attaccatura dei capelli dove comincia la vita. Il mio cuore pulsa dentro quello del cecchino. Sono io che scelgo il bambino. Lo scelgo perchè ha la nuca scoperta e questi capelli corti, compatti, come una testa di pelo. Sono capelli che odorano. E il cecchino può sentire quell’odore. Anche lui da bambino aveva capelli così, spessi, induriti dal sudore, senza rumore. Il bambino sta muovendo gli ultimi passi della sua vita sulla neve, ride, ha le guance rosse, il fumo bianco del freddo, trascina lo slittino in salita. Il mirino sulla canna del fucile si muove con i passi del bambino, s’arrampica con lui sulla neve. Il cecchino non sa perchè gli è capitato questo lavoro, com’è andata esattamente. Sono state le circostanze. Ci sono sacchi di terra impilati nella neve, potrebbe spostare la mira e tirare in uno di quei sacchi, non farebbe per lui alcuna differenza. Il fatto è che per ogni bersaglio colpito riceve un bel premio in marchi, e lui di quel premio ha bisogno perchè la paga del soldato è bassa e lui vuole comperarsi una macchina, una Bmw con il tettuccio che si apre. Pensa a quella macchina, ai sedili neri, all’accendino nel cruscotto, pensa a quel vento che gli farà vivere i capelli. Il coniglio è un bambino, avanza con i suoi capelli a calotta, con la sua nuca. Il corpo del cecchino è incollato al fucile, sono un unico pezzo. E’ l’attimo dell’amplesso, del pene che s‘ indurisce meccanicamente. Non c’è nessuna volontà, solo quella del proiettile. E’ quella che agisce, il cecchino si lascia guidare dalla sua esperienza. Piega il dito, poi lo lascia. E’ un attimo pericoloso, il percorso silenzioso del proiettile nell’aria bianca. Come uno spermatozoo che cammina sotto la lente del microscopio. Potrebbe incontrare qualcosa, un ostacolo che gli devia il percorso. Questo attimo è il migliore. Non è esattamente di puro piacere, è anche doloroso, come un’eiaculazione troppo ritardata. Il petto prende il colpo del rinculo. L’aria è bianca. Il proiettile ha raggiunto la nuca, il bambino è caduto a faccia sotto. Gli altri scappano, lasciano gli slittini e corrono come conigli spaventati. Il cecchino torna sul luogo, gira intorno con la sua lente, butta un occhio sulle orme rimaste. Gli piace quel silenzio, quando controlla il suo lavoro, quando restano soli lui e il suo centro. Controlla il foro nella nuca, perfetto. Il bersaglio piccolo il maleni cilj è morto sul colpo, non è nemmeno scivolato un po’ sui gomiti. Il cecchino non ha bisogno di sprecare altri colpi per finirlo. Ora sorride, le guance accartocciate, gli occhi fermi perchè il cuore è morto. Passerà del tempo prima che vengano a prendere il bambino, lo sa. Aspetteranno che lui se ne vada, che finisca il suo turno. Ilvolto del bambino sta diventando blu nella neve. Il mozzicone che il cecchino ha buttato in terra è ancora acceso. Ogni tanto un giornalista si arrampica, gli dice spara che ti filmo mentre spari, e il cecchino spara per il giornalista. Poi fa l’intervista, le braccia conserte, la croce sulla divisa mimetica, il berretto nero. E’ come sparare ai conigli, sorride. Poi la crosta della faccia s’ indurisce e resta quel misero stupore, quello del diavolo che guarda se stesso.”

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#ioleggoperché – 23 aprile – io c’ero

Il tour de force inizia quando manca poco meno di un quarto d’ora alle quattro del pomeriggio, peraltro dopo aver messo alle spalle già più di sei ore di lavoro.

Si esce dallo Studio diretti alla riunione dell’ordine dei Dottori Commercialisti che deve approvare il consuntivo del bilancio 2014 ma soprattutto premiare, tra gli altri, il socio anziano dello Studio (85 anni!) che festeggia 50 anni di iscrizione all’Ordine.

Un’ora e mezza abbondante di noia e di mezzo abbiocco per arrivare a vivere i 60 secondi della premiazione, un po’ di emozione perché è bello vedere una persona con cui convivi da ormai 20 anni da mattina a sera, vivere un momento così bello ed intenso (che poi io a 85 anni, sperando di arrivarci, non mi veda a lavorare ancora 6 giorni su 7 da mattina a sera è un altro discorso…)

Sono ormai quasi le 18.30 e per me è ora di scappare buttando un rapido occhio malinconico all’ampio buffet allestito per l’occasione (so che da lì a mezzanotte sarà difficilissimo mangiare): alle 19.00 sono atteso al Teatro Nazionale (dove per l’occasione c’è una vasta organizzazione di messaggeri di #ioleggoperché) da una delle mamme migliori che io ho conosciuto in questi anni di scuola con i suoi due figli (miei attori nel corso di Teatro) e la mia Patitù che è gentilmente passata a prendere a casa; l’occasione è la rappresentazione del Piccolo Principe, in serata doppiamente speciale in quanto tutto l’incasso sarà devoluto a Don Storri e alla sua associazione i Semprevivi.

Lo spettacolo è bello, ben fatto, i bambini sono incollati con gli occhi al Palco, ma io a dire il vero, continuo a guardare l’orologio, mi aspetta l’appuntamento con la Piazza; alle otto e mezza lo spettacolo termina, Patitù decide di rimanere con i suoi amici  che vanno al McDonald’s (poi ce la riaccompagnerà a casa la mamma di cui sopra dove ci sono i nonni ad aspettarla) la Leonessa è lì fuori con la macchina già accesa, partiamo e dieci minuti prima delle nove siamo in Piazza!

Il resto lo conoscete già tutti abbondantemente, conosco anche se solo attraverso una stretta di mano Iome e Noisette, mi basta il loro sorriso con cui mi salutano, poi mi faccio vedere da Ammennicoli, con lui basta un cenno di intesa, mi piace subito moltissimo, non riesco a parlare con nessuno di loro ma mi basta (per ora?); e poi seguo ammirato i miei amici del LAB che organizzano, coordinano, guidano la serata, bravissimi, grandissimi.

E in mezzo a tutto questo, sopra a tutto questo, dentro a tutto questo ci sono loro, i veri vincitori di tutto questo periodo, i protagonisti, sì, proprio loro, i libri!

e io sarò per te unica al mondo.

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#ioleggoperchè – 23 aprile

altrimenti non avrei mai conosciuto Graziano Biglia e Pietro Moroni

e anche Ammanniti e uno dei più bei romanzi che siano mai stati scritti…

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#ioleggoperché da bambino qualcuno mi regalò un libro…

ecco perchè oggi 23 aprile, regaliamo libri.

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MERCOLEDI’ SENZA LIBRO (Cita-un-libro #ioleggoperché10)

Come sempre la mattina è una corsa, la barba, la colazione, Patitù che non vuol saperne di uscire dal letto, Patitù da spronare continuamente, muoviti! mangia! lavati! vestiti! … E così, pur sapendo che a metà mattina devo andare dal dentista dall’altra parte della città, mezz’ora di metro ad andare e mezz’ora a tornare, mi dimentico di prendere su il mio Kindle, un’ora buona di lettura buttata al vento!

E in metro, seduto comodamente mi guardo attorno e vedo un libro soltanto, poi è tutto uno smanettare su telefoni, telefonini, i-phone, smartphone… insomma, banalmente, non si legge più! E non credo che tutti abbiano dimenticato a casa il Kindle nella fretta di uscire la mattina!!!

Oggi la citazione parte da lontano perché 400 caratteri per riportare uno delle più belle pagine che abbia letto in vita mia, purtroppo, non erano sufficienti…

COSI’ NELLA CASA VUOTA, LE PORTE CHIUSE A CHIAVE,I MATERASSI ARROTOLATI,IRRUPPERO QUEGLI ALITI DISPERSI,AVANGUARDIA DI GRANDI ESERCITI.
ENTRARONO CON FURIA,SPAZZANDO LE ASSI SPOGLIE;MORDEVANO E SOFFIAVANO,SENZA INCONTRARE NELLE CAMERE O NEI SALOTTI NULLA CHE RESISTESSE LORO,SE NON LA CARTA DA PARATI SCOLLATA CHE SBATTEVA,DEL LEGNO CHE SCRICCHIOLAVA,LE GAMBE NUDE DEI TAVOLI LE PENTOLE E LE PORCELLANE ORMAI INCROSTATE DI CALCIO,ANNERITE,INCRINATE.
CIO’ CHE S’ERANO TOLTI E AVEVANO LASCIATO LI’:UN PAIO DI SCARPE,UN BERRETTO DA CACCIATORE,DELLE GONNE SBIADITE E DELLE GIACCHE NEGLI ARMADI SERBAVA ANCORA L’IMPRONTA UMANA E NEL VUOTO INDICAVA CHE UNA VOLTA QUELLE FORME ERANO STATE PIENE,ANIMATE;UNA VOLTA LE MANI S’ERANO DATE DA FARE CON GANCI E BOTTONI,UNA VOLTA LO SPECCHIO AVEVA CONTENUTO UNA FACCIA,ANZI UN MONDO CAVO IN CUI UNA FIGURA S’ERA GIRATA,UNA MANO ERA APPARSA,LA PORTA S’ERA APERTA,E I RAGAZZI ERANO ENTRATI DI CORSA,RUZZOLANDO,E POI SE N’ERANO RIANDATI.
ORA,GIORNO DOPO GIORNO,LA LUCE PROIETTAVA SULLA PARETE LA SUA IMMAGINE CHIARA,COME UN FIORE RIFLESSO NELL’ACQUA.
SOLO GLI ALBERI, VOLTEGGIANDO NEL VENTO,DISEGNAVANO OMBRE CHE S’INCHINAVANO SUL MURO,E OFFUSCAVANO PER UN ATTIMO LO STAGNO,IN CUI LA PACE SI SPECCHIAVA;OPPURE GLI UCCELLI IN VOLO DISEGNAVANO SULL’IMPIATTITO DELLA CAMERA DA LETTO UN MOBILE,SOFFICE MACCHIA.
LA GRAZIA E LA QUIETA REGNAVANO,INSIEME MODELLANDO IL PROFILO DI UNA FORMA DA CUI LA VITA S’ERA STACCATA;UNA FORMA SOLITARIA,COME UNO STAGNO DI SERA-REMOTO,VISTO DAL FINESTRINO DI UN TRENO COSI’ VELOCE,CHE LO STAGNO A MALA PENA E DERUBATO DELLA SUA SOLITUDINE,ANCHE SE VISTO.
LA GRAZIA E LA QUIETE SI DAVANO LA MANO NELLA CAMERA DA LETTO;TRA LE BROCCHE VELATE E SEDIE AVVOLTE IN LENZUOLA,L’INTRUSIONE DEL VENTO E DEL SOFFICE MUSO DELLE VISCHIOSE BREZZE MARINE-CHE SFREGAVANO,SFIATAVANO,E RIPETEVANO ANCORA E ANCORA LE LORO DOMANDE”VI TOCCHERA’ SCOMPARIRE?PERIRE?-NON DISTURBAVA LA PACE,L’INDIFFERENZA,L’ARIA DI ASSOLUTA INTEGRITA’,COME SE ALLA DOMANDA CHE FACEVANO FOSSE A MALA PENA NECESSARIO RISPONDERE:NOI RESTEREMO.
NULLA SEMBRAVA POTESSE ROMPERE QUELL’IMMAGINE,CORROMPERE QUELL’INNOCENZA,DISTURBARE IL MANTO SOLENNE DEL SILENZIO CHE,SETTIMANA DOPO SETTIMANA,NEL VUOTO DELLE STANZE,CUCIVA NELLA SUA TRAMA LE GRIDA ROCHE DEGLI UCCELLI,LE SIRENE DELLE NAVI,IL RONZIO MONOTONO DEI CAMPI,IL LATRATO DI UN CANE,L’URLO DI UN UOMO,CON CUI AVVOLGEVA IL SILENZIO DELLA CASA.
MA UNA VOLTA UN’ASSE SI RUPPE DI SCATTO;

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